Como Borghi: Via Anzani o via Aleppo?

imagesCoprifuoco. Incubo. Assedio. Degrado. Bomba sociale. Articoli, articolesse, interviste, commenti. Sarà che ci vivo da più di trent’anni, in questo inferno, e che gli esseri umani riescono a sviluppare meccanismi fisici e mentali di adattamento anche alle situazioni più estreme, ma non me ero accorto.

Tutte le mattine, passando davanti ai giardinetti senza calzare l’elmetto,  vado all’edicola senza indossare il giubbotto antiproiettile (sono sempre stato imprudente, lo ammetto). Credo di essermi  salvato finora perché compro ed ostento Il Manifesto – quotidiano comunista, e questo spaventa anche i più incalliti e spietati banditi che circondano il chiosco. Incrocio gli sguardi di terrore dei dipendenti di BNL Paribas, in attesa della rapina quotidiana. A volte mi spingo fino in piazzetta di via Leoni. E’ il tratto più pericoloso: incontro il Bar Gastronomia  Maiorca e mi sale il groppo in gola, se penso ai tempi di pace, quando si usciva dal negozio carichi di prelibatezze. Incontro gli alimentari asiatici e mi rendo conto di averla scampata bella, quella domenica che mi accorsi di essere rimasto senza sale grosso e ne varcai la soglia per acquistarlo. Incontro la sala scommesse, un vero e proprio check-point multietnico. Ho il lasciapassare (il giornale comunista) e questo mi consente – non senza difficoltà – di spingermi fino a via Leoni, dove la civiltà occidentale riprende il sopravvento. Un caffè e una pasterella pera-cioccolato insieme a decine di altri residenti assediati, qualche provvista al Carrefour e in farmacia, prima di tornare in trincea.

Il viaggio di ritorno è più pesante, ormai si è formata la solita doppia fila di auto in sosta vietata. Sono tutte italiane. Servirebbe un’ordinanza, ma sono tutte italiane. I conducenti votano.

Comunque, sono ancora vivo. Anche se ogni tanto, la sera, mangio  pizza o kebab acquistato dai  pizzaioli turchi. Anche se a volte taglio i capelli dal barbiere marocchino. Anche se ho fatto accorciare un paio di pantaloni nella sartoria cinese.

Che volete, sono fatto così e ormai il vicinato mi sopporta. Qualche tensione c’è stata, quando un piccolo gruppo di utopisti come me ha provato ad organizzare un progetto di coesione sociale di quartiere. Siamo stati presi per dei Mimmo Lucano in salsa lombarda. stelleAncora oggi ci rimproverano perché nei giardinetti abbiamo lasciato un orribile installazione pseudo-artistica. E volevamo persino restaurare le panchine. Meglio eliminarle, le panchine, così il nemico non si siede.

 

Adesso però basta scherzare. I problemi ci sono, anche se non vanno ingigantiti, Chi ha le finestre sotto un orinatoio a cielo aperto ha ragione  a lamentarsi, chi non rispetta le regole del vivere civile deve essere sanzionato.

Però chi è stato eletto per governare la città però dovrebbe avere un approccio ben diverso. Con tutta la fatica, il tempo e la pazienza che servono, deve attivare “trame riparative”. Eccolo qua, con i soliti paroloni incomprensibili. No mi spiace, ma non esistono soluzioni semplici a problemi complessi. Mettere risorse (non servono milioni e ci sono finanziamenti specifici per progetti di questo tipo!), mettere personale competente, attivare strumenti strutturati e non episodici di dibattito pubblico (la Assemblee di zona erano nate per quello…. leggi qui). Se invece si pensa di risolvere il problema con le pattuglie dei vari corpi di polizia, segando le panchine o con la solita assemblea di quartiere dove vince chi urla di più, rassegniamoci. Non cambierà nulla e diventeremo tutti ogni giorno più cattivi. Non solo in via Anzani, dappertutto. [Massimo Patrignani – Ecoinformazioni]

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